Male di vivere: e se la soluzione fosse la gentilezza?
La gentilezza che salva le relazioni
“Tenerezza e gentilezza non sono sintomo di disperazione e debolezza, ma espressione di forza e di determinazione.”
(Khalil Gibran)
Viviamo tempi difficili. La società ci rimanda un eco tra i più desolanti…e della società fa parte ciascuno di noi. Che cosa c’è che non funziona? Perché dilagano egoismo, arrivismo, insensibilità e narcisismo?
Eppure dentro di noi ci sono infinite potenzialità creative e costruttive che potrebbero ribaltare questo scenario così avvilente. Il polso delle tensioni sociali, della sfiducia, sembra marcare uno stato febbrile che spinge i più verso un punto di non ritorno.
Le buone pratiche, che per fortuna resistono, non sono sufficienti ad arginare questa tendenza. Mentre riflettevo su questo argomento, ho avuto la possibilità di leggere un libro che ha, in qualche modo, fatto luce su questi interrogativi.
Il libro è: “La gentilezza che cambia le relazioni” di Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti. Lo trovate qui: https://amzn.to/2QWGMPg
Non vi svelo nulla del suo contenuto, per non togliere ai lettori il piacere di scoprirlo autonomamente e, soprattutto, di meditarlo nel profondo. La definisco una lettura educativa importante, capace di far spuntare un germoglio di consapevolezza in ciascuno di noi.
Essendo rimasta molto coinvolta da questa lettura, ho contattato l’autrice, chiedendole se fosse disponibile a darci il suo contributo su questo argomento tanto spinoso quanto importante da affrontare in questo momento storico.
Anna Maria Palma, è stata così gentile da accettare la mia richiesta ed io sono felice di poter condividere, con voi lettori, le sue risposte alle mie domande.
Cominciamo.
Intanto vi presento lo splendore di Anna Maria Palma.
Vitiana: Anna Maria, benvenuta e grazie ancora per la tua disponibilità! Vorresti dirci qualcosa di te e del tuo lavoro?
Anna Maria: Grazie Vitiana, grazie a te per questa piacevole opportunità. Sono Professional Counselor, Emotional Intelligence Executive Coach, Facilitarice Psych-K, esperta in comunicazione evolutiva, trainer Accademia Professionale Tennis, Senior trainer nelle tematiche del management, risorse umane e sviluppo delle potenzialità.
Ma al di là di ogni possibile definizione e identità professionale mi riconosco nello scopo del mio lavoro che coincide con quello del mio vivere: favorire negli altri la lettura e l’apertura al senso della possibilità.
Mi occupo di “formazione al benessere”, una formazione mirata alla persona, alla sua crescita, all’integrazione nel quotidiano personale e professionale, del proprio processo di evoluzione.
Dopo gli studi, ho completato la mia formazione umanistica, utilizzando metodi innovativi per coltivare la consapevolezza, la presenza, l’uso dell’attenzione attiva, l’ascolto profondo, la relazione responsabile con il tempo, l’elaborazione dello stress e delle emozioni.
Vitiana: Indubbiamente un percorso molto affascinante! Rappresenta in pratica ciò che ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a fare principalmente per sé stesso. Di certo non è cosa semplice. Ritengo, quindi, che il tuo supporto in questo sia fondamentale per le persone.
Come hai deciso di scrivere questo libro? Che cosa ti ha spinto a farlo?
Anna Maria: Nei diversi anni di incontro con le persone, soprattutto all’interno delle organizzazioni, insieme a Lorenzo Canuti, coautore del libro, insieme anche ad altri colleghi abbiamo potuto rilevare un particolare disagio, un tipo di sofferenza molto diffuso, ma mai “catalogato” in maniera così esplicita. Non i conflitti molto conosciuti e sui quali si sono pubblicati tanti libri…Noi stessi ne abbiamo scritto uno. Era un disagio sottile, passava dal non essere salutati, al non essere considerati ad una riunione, o per un invito a prendere il caffè. Oppure dall’essere informati di un trasferimento passando per il corridoio o da trovare una pratica di lavoro affidata ad un altro collega senza che la persona a cui era stata tolta fosse informata. E ancora altro, molto altro. Nel linguaggio formativo tutto questo prende il nome di disconferma. Poi per un’attivazione che proponevamo regolarmente in aula ne abbiamo raccolte migliaia di queste disconferme. Alcune le abbiamo anche condivise all’interno delle organizzazioni sia a livello trasversale che anche e soprattutto a livello apicale. Perché ci fosse una maggiore consapevolezza, non tanto per generare colpe, quanto per ispirare ad una maggiore attenzione soprattutto a non farle, ma anche a trovare modalità per collocarle al meglio e non subirle. Ecco siamo partiti da qui. Dalla disconferma, questa sconosciuta. Questa ci ha motivato a scrivere questo libro, ma se lo avessimo poi intitolato “la disconferma” chi e quanti avrebbero capito di cosa si parlava? In appendice dello stesso libro ne abbiamo elencato un buon numero però. E la cosa curiosa è che proprio le disconferme hanno raccolto tanto interesse all’interno del testo, tanto è vero che in tutte le nostre presentazioni, in tutti gli articoli che hanno parlato di questo scritto, in diversi si sono interessati a questo tema. Avendo trovato un nome a tutta una serie di disagi vissuti da molte persone. Quello di non essere considerati, di essere ignorati, esclusi, non ascoltati…Tu non esisti, o tu non hai qualità, o se le hai non mi interessa.
Vitiana: Si tratta, a mio avviso, di un lavoro molto importante per le persone. Il fatto che si siano riconosciute nei casi di ‘disconferma’ è indicativo della situazione nella quale versano le relazioni, oggi.
Anna Maria, puoi dirci qualcosa in più sulla ‘disconferma’ di cui tratti anche nel tuo libro?
Anna Maria: Si come ho detto Vitiana questo è il termine, la situazione che ci ha ispirato a scrivere un libro e questa è la condizione che così descritta ha permesso a molti di dare un nome a quel disagio o a quei disagi ai quali si aggiungeva il fatto che non venissero neanche riconosciuti o che potessero addirittura passare come “fisime” o come richieste eccessive di attenzione. In realtà piano piano si è realizzato che si parte da lì, da una se vuoi semplice disconferma per andare ad intaccare, sempre piano piano la motivazione, fino ad arrivare a manomettere il valore, il senso di squadra o di team come si è più soliti dire fino ad arrivare a pesanti conseguenze che si avvicinano molto ad una sorta di mobbing a volte trasversale perché una qualche emarginazione non è gradita da nessuno.
La constatazione che spesso le disconferme si manifestassero per inconsapevolezza o distrazione già alleggeriva un po’ la questione. Perché era possibile comprendere che non venivano attivate contro una persona ma per una qualche, anche se a volte incomprensibile o addirittura imperdonabile, negligenza.
La possibilità che comunque una maggiore attenzione impedisse di agirle, ma anche la scoperta che esistessero “antidoti” a quelle che venivano ricevute, credo che abbia creato grandi spazi di evoluzione aumentando così anche la sensibilità a considerare l’altra persona parte di quel tessuto umano nel quale ciascuno di noi diventa “response abile”, abile a rispondere di quanto può influenzare con il suo modo di parlare, ascoltare, pensare, percepire, agire, direi vivere, qualunque relazione, qualunque contesto! È così diventato significativo il valore di trattare bene e di trattarsi bene!
Vitiana: Grazie di cuore per questo ulteriore approfondimento! E dunque, dopo averci spiegato altri aspetti della ‘disconferma’, vorrei chiederti, per te, che cos’é la “gentilezza” e in che modo può essere la cura per i segnali di aridità a cui assistiamo ogni giorno?
Anna Maria: Nel nostro scritto, ma anche nei vari incontri fatti su questo tema, abbiamo sempre fatto riferimento alla etimologia di questa parola e abbiamo visto che, nelle diverse accezioni di lingue antiche e più moderne, prevale ed emerge il senso di appartenenza, di specie. Un senso quasi intimo di relazione fra gli esseri viventi. Un senso di rispetto, ma soprattutto un senso di importanza. Martha Nussbaum la definisce una “doppia attenzione”.
Attenzione, la parola magica, l’“apriti sesamo” per ogni tipo di consapevolezza. L’attenzione da cui dipende la qualità delle nostre relazioni, con noi stessi e con gli altri. Attenzione e consapevolezza per garantire presenza. Quella presenza che sostiene la gentilezza per la quale assicuriamo ascolto, considerazione, una qualità di stare in relazione, relazione autentica con le persone.
Il nostro maggiore impegno nei diversi incontri nei quali il libro è divenuto occasione di riflessione e quindi anche la parola gentilezza è stato quello, da una parte di condividere che gentilezza non è educazione e buone maniere o almeno non solo questo e, dall’altra, rassicurare che gentilezza non è debolezza, non è dire sempre sì o essere sempre disponibile. Rassicurare proprio le diverse persone sul fatto che, essere gentili, non significa che tutti si approfittano di te, non implica diventare o sentirsi stuoino, come si suol dire. Per questo sta per uscire un seguito al nostro libro, proprio per approfondire questi concetti.
Vitiana: Molto interessante questa precisazione. Toglie molti dubbi, credo, ai lettori. Le specifiche che hai dettagliato danno sicuramente voce a domande che, qui, ricevono risposte chiare. Sulla tua risposta, introduco la prossima domanda.
In che modo, secondo te, la consapevolezza di noi stessi può aiutarci a sviluppare empatia e a costruire un ponte comunicativo per raggiungere gli altri?
Anna Maria: Consapevolezza, una parola tanto usata, non so quanto sviscerata nel suo senso più profondo. È stata definita il prodotto di attenzione mirata, Quella consapevolezza che consente di raccogliere e percepire con chiarezza i fatti e le informazioni rilevanti, e quindi la consapevolezza risiede anche nella capacità di determinare ciò che è rilevante. Questa capacità include la comprensione dei sistemi, delle dinamiche, delle relazioni fra cose e persone.
La consapevolezza comprende chiaramente l’autoconsapevolezza e insieme alle altre, la capacità di riconoscere quando e come, le azioni o i desideri, distorcono la percezione che si ha di se stessi.
Quello che è certo è che sono in grado di governare solamente ciò di cui sono consapevole. E constato ogni volta che ciò di cui non sono consapevole mi governa.
Ci sono poi delle consapevolezze speciali che partono dalla considerazione che la maggior parte delle persone sa normalmente quello che dice e quello che fa. Un po’ meno persone sono consapevoli realmente del perché -più intimo- dicono certe cose e perché fanno certe cose.
Quello che constatiamo spesso è che una minima parte, e possiamo dire che parliamo di persone più evolute, presta attenzione a che cosa si produce in se stessi e negli altri per effetto di quello che diciamo e quello che facciamo.
Quindi l’auto-consapevolezza permette di conoscere quali bisogni, quali motivazioni, paure, emozioni paradigmi si celano all’interno del personale processo interiore e consente anche di portare questi elementi alla luce perché non condizionino più di tanto le relazioni e gli obiettivi personali ed aziendali, laddove consideriamo un soggetto che opera all’interno di un’organizzazione. La persona che si occupa della sua consapevolezza, pratica l’autoriflessione, ama ricevere feed back; feed back che cerca con lo stesso interesse per l’evoluzione personale con il quale lo offre agli altri. Sa bene che il percorso di sviluppo dell’essere umano è accelerato quando guardiamo noi stessi attraverso gli occhi degli altri.
Occorre anche una consapevolezza sistemica attraverso la quale portare l’attenzione alle altre persone, all’ambiente, da quello familiare a quello professionale.
Credo sia utile dopo questo panorama, seppure essenziale, fare una riflessione profonda su quanto interesse abbiamo per lo sviluppo della consapevolezza e quanto impegno costante questo richieda. E quanto il nostro parlare, ascoltare, pensare, percepire e agire possano continuamente risentire di una rinnovata e sempre coltivata consapevolezza.
È solo in questo spazio che la gentilezza, quella gentilezza autentica di cui stiamo parlando può mettere radici, dimorare, caratterizzare e garantire relazioni autentiche.
Vitiana: Un atto di presenza a se stessi, quindi, da esercitarsi con costanza nell’intento di ‘rieducarci’ e rieducare attraverso l’esempio, la nostra personalità prima di tutto. Osservarsi, comprendersi per poter comprendere l’altro, è un lavoro di raffinazione e rettificazione continua; qualcosa che spaventa inizialmente perché pare minare quelle illusorie sicurezze che ci siamo costruiti nel tempo a sostegno delle maschere adottate nelle dinamiche relazionali.
Un mio pensiero su questo in conclusione: probabilmente è questo impegno ad osservare le parti di noi che sappiamo lacunose che sgomenta i più e che agisce come deterrente nell’assunzione di responsabilità. Ma, il solo fatto di ‘accorgersi’ di come ci rivolgiamo, a noi stessi (perché molto inizia anche da qui), e poi agli altri, rappresenta probabilmente una piccola scintilla positiva.
Speriamo che, sensibilizzare le persone su questo argomento, possa contribuire a sostenere gli sforzi individuali nella crescita di questa sana consapevolezza interiore.
Bene, cari lettori. Ringrazio Anna Maria Palma per aver condiviso con noi i suoi pensieri su un argomento tanto spinoso quanto difficile da trattare, viste le numerose implicazioni.
Tutti quanti abbiamo molto da imparare in merito e dobbiamo sicuramente fare opera di bonifica per quanto riguarda gli schemi comportamentali che abbiamo assunto nel tempo e che, spesso, sono i principali responsabili proprio della ‘disconferma’, come ci insegna Anna Maria.
Consiglio quindi caldamente la lettura del suo libro: “La gentilezza che cambia le relazioni” che trovate qui: https://amzn.to/2QWGMPg
Invito i lettori a scrivere a me (vitianamontana@gmail.com) o direttamente ad Anna Maria Palma alla mail: (palma@annamariapalma.eu) , se l’argomento vi interessa particolarmente e desiderate organizzare una presentazione o un gruppo di studio nella vostra città.
Ricordo che questa tematica è oggetto di studio e applicazione anche da parte del corpo docente nell’ambito scolastico, per far sì che i nostri ragazzi, gli adulti di domani, abbiamo modo di correggere e reindirizzare al meglio la loro consapevolezza per creare un mondo migliore.
Concludo con uno splendido aforisma, molto significativo, tratto proprio dal libro di Anna Maria:
“Conto di attraversare questa vita una volta sola, quindi se esiste gentilezza che io possa mostrare o buona azione che io possa compiere per me e per un mio simile, che io lo faccia ora e non la rimandi o dimentichi, perché non passerò più da questa vita!”
William Penn
Saluto Anna Maria e voi lettori con un forte abbraccio e con l’augurio che il Nuovo Anno ci veda tutti molto più presenti e consapevoli in merito alla nostra esistenza.
Con affetto.
Vitiana Paola Montana
Counseling & Mentoring