Cambiare con le favole
Argomenti:
La favola come percorso di cambiamento
Cambiare attraverso le favole
Ho sempre sostenuto, nell’arco della mia formazione dal punto di vista di scrittrice e nello stesso mio percorso personale di cambiamento che, la fiaba e la favola, hanno dei contenuti in grado di innescare meccanismi importantissimi per la psiche del lettore. Chi si accosta a questo mezzo così particolare di lettura, trova un mondo ricco di segnali e simboli che possono, volendo, tracciare la strada per un vero e proprio cambiamento.
Cambiare non è semplice, poiché ci mette di fronte ad emozioni, paure, retaggi del passato che ancora non abbiamo elaborato o che non abbiamo neppure riconosciuto come tali. Il coraggio di cambiare quello che nella nostra vita non risponde più alle nostre esigenze, il coraggio di cambiare ciò che castra la nostra realizzazione, risiede nella nostra volontà di riuscire, finalmente, a parlare con la nostra “voce” e non abdicare a noi stessi, a non delegare ad altri o alla società, la costruzione di ciò che siamo.
E nelle favole troviamo molte delle interazioni che si sviluppano tra psiche, personalità, inconscio, finemente amalgamate e intrecciate in modo così perfetto che, nel finale, qualcosa sempre scatta in noi e ci porta ad una piccola illuminazione.
Tutte le favole, tutte le fiabe contengono una morale, come spesso viene definita. Non si tratta di qualcosa che ha a che fare solo con l’etica, con le “buone pratiche”. L’etica delle favole può essere ricondotta all’invito ad avere “etica” verso noi stessi, prima di tutto.
La proiezione inconscia sugli altri e sull’ambiente
Dobbiamo essere “etici” verso noi stessi. Se non impariamo ad adottare amorevolezza, accoglienza, accettazione, non-giudizio per prima cosa nei nostri stessi confronti, non potremo essere adulti consapevoli e riverseremo in modo incondizionato tutto quello che di noi non accettiamo sugli altri, proiettandolo nel nostro ambiente.
Tutto ciò che la nostra mente produce sono proiezioni. Tutto ciò che proviamo ha la sua matrice nel passato, nel vissuto pregresso e condiziona inevitabilmente il nostro futuro se noi non interveniamo ad interrompere questo circolo vizioso.
Il disagio che proviamo di fronte ad un’offesa, l’indignazione nei confronti di qualcosa che pensiamo ci possa danneggiare, in realtà, sono solo il segnale esterno di qualcosa che noi stiamo facendo a noi stessi. Forse siamo bloccati in qualche evento del passato in cui abbiamo subito/interpretato un evento in modo fortemente negativo. Quell’evento, quindi, ha scatenato un’emozione dolorosa e, da quel momento, noi abbiamo attribuito a situazioni “simili” lo stesso tenore, condizionandoci all’infinito nello sforzo di “difenderci” da qualcosa che, a ben vedere, abbiamo creato noi dando un’interpretazione rigida a ciò che abbiamo vissuto.
La rabbia, in primis, è una di quelle emozioni che denota non il legittimo diritto a proteggersi da qualcosa (tranne ovviamente nei casi in cui è in gioco la propria incolumità o il proprio benessere emotivo), bensì un tentativo di controllare la situazione perché ci fa paura, perché non sappiamo cosa accadrebbe se ne perdessimo il controllo.
La rabbia è utilissima perché ci obbliga a domandarci da dove proviene quel sentimento così devastante. Tutte le emozioni che portano disagio: rabbia, ansia, paura, hanno la radice dentro di noi non negli eventi esterni. È osservando queste emozioni che possiamo capirne la natura e correggere le nostre reazioni affinché ci portino verso una più serena comprensione, accettazione ed evoluzione di noi stessi.
Per farvi capire come le favole e le fiabe possono essere dei potenti veicoli per cambiare, oggi vi propongo questa breve lettura di una favola di Calvino.
Proviamo a leggere questo piccolo capolavoro.
Da “Fiabe italiane” di Italo Calvino
Ed. Mondadori
“Pelle di vecchia”
C’era un Re con tre figlie femmine. Andò alla fiera e prima di partire domandò alle figlie che regalo volevano. Una disse un fazzolettone, l’altra un paio di stivaletti, la terza disse un cartoccio di sale. Le due prime sorelle che non potevano vedere la più piccina, dissero al padre :-Lo sapete perché v’ha chiesto il sale, quella birbante? Perché vuol salarvi le cuoia.
-Ah, si!-disse il padre. -A me vuol salare le cuoia? E io la caccio di casa,- e così fece. Cacciata di casa con la sua balia, con un sacchetto di monete d’oro, la povera ragazza non sapeva dove andare. Tutti i giovani che incontrava le davano noia, e allora la balia ebbe un’idea. Incontrarono un funerale, d’una vecchia morta a cent’anni, e la balia domandò al becchino :-Ce la vendete la pelle della vecchia? Dovette contrattare un bel pezzo; poi il becchino prese un coltello, scorticò la vecchia ruga per ruga e ne vendette la pelle, tutta completa, col viso, i capelli bianchi, le dita con le unghie.
La balia la fece conciare, la cucì su stoffa di cambrì e ci fece entrare la ragazza. E tutti stavano a vedere quella vecchia centenaria che parlava con voce argentina e camminava svelta come un frullino. Incontrarono il figlio del Re. -Quella donna,-disse alla balia,- quanti anni ha codesta vecchia?
E la balia :-Domandateglielo voi.
E lui : -Nonnina, mi sentite, nonnina? Quanti anni avete?
E la ragazza ,tutta ridente:-Io? Centoquindici!
-Caspita!-fa il figlio del Re. -E di dove siete?
-Del mio paese
-E i vostri genitori?
-Sono il mio babbo e la mia mamma.
-E che mestiere fate?
-Vado a spasso!
Il figlio del Re si divertiva. Disse al Re e alla Regina:-Prendiamo questa vecchia a palazzo; finché vivrà ci terrà allegri.
Così la balia lasciò la ragazza a palazzo reale, dove le diedero una stanza al mezzanino, e il figlio del re, quando non aveva nulla da fare andava a discorrere con la vecchia e a divertirsi alle sue risposte.
Un giorno la Regina disse a Occhi–marci (la chiamavano così perché quella pelle di vecchia aveva tutti gli occhi cisposi):-Peccato che con quegli occhi non potete più fare i lavori!
-Eh,-disse Occhi-marci,-da giovane sì che sapevo filar bene!
E la Regina:-Bé, provatevi a filare questo po’ di lino, tanto per fare qualcosa. La vecchia, quando non c’era più nessuno, si chiuse a chiave, si cavò la buccia, e filò il lino che era una meraviglia. Il figlio del Re, la Regina e tutta la Corte restarono a bocca aperta a vedere che una vecchia decrepita, tremolante e mezza cieca aveva potuto fare quel lavoro.
La Regina provò a darle da cucire una camicia. E lei, quando fu sola, tagliò e cucì la camicia tutta di trapunto, e sulla pettorina ricamò dei fiorellini d’oro che non se n’erano mai visti di così precisi. Gli altri non sapevano più cosa pensare. Ma il figlio del Re sospettava che ci fosse qualcosa sotto, e appena la vecchia si chiuse in camera andò a guardare dal buco della chiave. E cosa vide?
La vecchia si toglieva la buccia e sotto c’era una ragazza giovane e bella come un occhio di sole. Il figlio del Re, senza starci a pensare, buttò giù la porta e abbracciò la ragazza che tutta vergognosa cercava di coprirsi- Chi sei?- le diceva.- Perché ti sei travestita così? E la ragazza disse d’esser anche lei figlia di Re, cacciata di casa e maledetta. Il figlio del Re andò subito dai genitori e disse :-Sapete? Ho trovato una figlia di Re per moglie. Furono bandite le feste per lo sposalizio e si invitarono tutti i Regnanti vicini e lontani. Venne pure il Re babbo della sposa, ma non la riconobbe, così vestita coi veli e le corone. Al babbo la sposa aveva fatto cucinare le pietanze da una parte, tutte senza sale, tranne l’arrosto. Venne la minestra, gli invitati mangiavano, ma il padre della sposa smise dopo la prima cucchiaiata. Venne il lesso e il padre lo assaggiò appena, venne il pesce e il padre lo lasciò tutto nel piatto. -Non ho fame,-diceva. Ma quando venne l’arrosto gli piacque tanto che ne prese tre volte. Allora la figlia gli domandò perché gli altri piatti non li aveva toccati, e l’arrosto si e il Re disse che non sapeva come mai, l’arrosto l’aveva trovato saporito e tutto il resto scipito. Disse la figlia :-Allora lo vedete quant’è cattivo il cibo senza sale? Ecco perché vostra figlia domandò il sale quando andaste alla fiera, e quelle perfide delle mie sorelle vi dissero che era per salarvi le cuoia…
Il padre allora riconobbe la figlia, l’abbracciò e le chiese perdono e castigò le sorelle invidiose.
(Montale Pistoiese)
I personaggi e i simboli nella favola
Calvino è un maestro insuperabile. In questo piccolo racconto è racchiuso un vero e proprio tesoro.
Andiamo ad esaminarlo.
Ci troviamo di fronte all’inizio più classico delle fiabe, ma subito abbiamo una differenza che salta agli occhi . Le tre sorelle rappresentano rispettivamente, la psiche, la personalità e l’inconscio. La favola si apre, con il complotto da parte delle due prime sorelle (psiche e personalità), a danno della sorella più piccola (l’inconscio). La figura del padre, incarna la nostra parte maschile, attiva, assertiva ed esecutiva, non ancora integrata e priva di equilibrio.
Le due sorelle (psiche e personalità), ingannano il padre (la forza organizzativa della vita, quella che ci consente di avere un approccio al mondo), sulle intenzioni non affidabili dell’inconscio (la sorella più piccola).
E’ noto che noi non ascoltiamo quasi mai quella nostra “vocina” che a volte ci dà esatte indicazioni, proprio come fa il padre della fiaba.
Peraltro, la figlia accusata di voler zittire l’autorità paterna, chiedeva come regalo “un cartoccio di sale”. Secondo le più comuni interpretazioni, il sale è sempre stato sinonimo di forza, di conoscenza e di saggezza (gli alchimisti lo hanno sempre sostenuto). Quindi, nell’intento dell’inconscio, c’è la volontà di evolversi, di riflettere, di portare saggezza nella propria esistenza. L’inganno delle sorelle, non potrà nulla contro la forza della verità.
La fanciulla, per sopravvivere nella situazione creatasi dopo la sua cacciata, dietro consiglio della balia, maschera le sue sembianze.
La “maschera” per sopravvivere al dolore e alla paura del rifiuto
Molto spesso, anche noi adottiamo delle maschere per adeguarci e sopravvivere nell’ambiente in cui ci troviamo. Attraverso questa maschera, che rispecchia comunque la sua saggezza, la fanciulla cresce, fa esperienza (il filare, il cucire). Quando la sua reale natura emerge (il figlio del Re che la vede dal buco della serratura cambiare pelle), tutto il suo splendore di essere umano unico e speciale, viene alla luce. L’epilogo della favola è ancora più significativo. Il padre riconosce finalmente la figlia quando essa, al pranzo delle sue nozze, gli fa portare cibi sciocchi ed uno solo salato al punto giusto. L’inconscio vuole così farci capire che, interpretare e dare senso a tutto ciò che avviene nella nostra esistenza, è come dare sapore alla nostra vita.
Il padre infine, abbraccia la figlia (l’inconscio integra la parte assertiva, quella che gli dà forza) e castiga le due sorelle invidiose (ridimensiona il ruolo di personalità e psiche) a vantaggio dell’intuito e del valore personale.
Il percorso di “individuazione”
Fiabe e Favole scopriamo il loro potere nascosto
Fiabe e Favole hanno due connotazioni differenti. Come ben sappiamo, le fiabe sono racconti che portano il lettore in un mondo fantastico, dove si raccontano le imprese di personaggi immaginari come gli elfi, le fate oppure i più classici draghi. Per quanto riguarda le favole, invece, i personaggi principali sono animali o, in alcuni casi, oggetti inanimati. Entrambe però, nonostante siano molto diverse per struttura letteraria, hanno in comune un elemento fondamentale per la psiche di grandi e piccini: la “morale“. Si tratta di un insegnamento importante, dal momento che riguarda l’etica del comportamento, ma non solo. Nelle fiabe, la morale è di solito incorporata alla storia mentre, nelle favole spesso compare nel finale, magari sotto forma di proverbio.
Fiabe e Favole, che cosa hanno in comune?
E perché definirle “percorso evolutivo“? Seguendo gli insegnamenti dei più rinomati psicologi dell’ultimo secolo, non possiamo non tenere conto del fatto che i personaggi presenti nelle fiabe e nelle storie che si snodano all’interno delle favole, hanno una doppia valenza. Da una parte sono il veicolo che ci trasporta nel mondo dell’inconscio e, dall’altra, rappresentano un simbolo, un archetipo.
Così, osservando con attenzione o meglio, ascoltando con i sensi accesi queste trame che si snodano nelle favole, potremmo restare stupiti di ritrovare in essi, una parte della nostra esistenza, sotto forma di allegoria. Per esempio, l’ultimo capolavoro di Tim Burton, ha riportato in auge la favola di “Alice nel Paese delle Meraviglie“. I personaggi di questo capolavoro di Lewis Carroll, ci prendono per mano e , insieme ad Alice, ci guidano in un viaggio introspettivo molto profondo. Alice si trova, nel racconto, in continue situazioni eccentriche, dove il suo inconscio è stimolato a trovare spiegazioni, a creare nuove forme di “pensiero laterale”. Credo che rileggere, o gustare nuovamente questo film, in questa nuova versione cinematografica, sia un esercizio molto interessante…per i grandi soprattutto.
Tra le favole più attuali e dense di significati importanti troviamo “La Bella e la Bestia” .
L’etica, la morale che queste favole ripropongono ai giorni nostri, è più che utile, direi indispensabile. In un momento in cui la coscienza di ciascuno di noi, sta faticosamente imparando a reintegrare i lati meno belli della propria personalità, questa storia ci spinge a non fermarci di fronte alle nostre “brutture”, ai nostri difetti, alle nostre mancanze. L’indicazione è quella di abbracciare ciò che siamo, di non avere paura di questi aspetti e, anzi, di farne tesoro.
Cominciamo da noi, prima di tutto, e poi estendiamo questa qualità a chi ci circonda, così, con semplicità. La Bella accetta la Bestia e, alla fine, scopre che le sue brutture altro non erano che “errori di valutazione”. Fiabe e Favole, rivisitate con occhio attento e l’incanto del fantastico, aprono i mondi della nostra psiche e ci aiutano a riprenderci il sogno, lo stupore della magia della vita.
Ogni favola è un processo di apprendimento.
Vitiana Paola Montana
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LETTURE CONSIGLIATE
(cliccate sulle immagini per leggere le sinossi)